Quando Moggi fu vicino all’Inter. Una voce, un’ipotesi o qualcosa di concreto? Del resto l’ex direttore generale della Juventus e l’Inter sono stati molto vicini.
Scegliere Moggi significherebbe cambiare metodo, accentrare i poteri – tutti – in un unico soggetto dalla competenza comprovata negli anni.
Parole scritte sul settimanale Controcampo dalla penna sopraffina di Sandro Piccinini, un eccellente giornalista, un meraviglioso telecronista, un intenditore di calcio. Come Moggi – scriviamo noi – che di calcio – da che calcio è calcio – è sempre stato buon intenditore. Al tempo del nuovo corteggiamento – dopo quello precedentemente sfumato per alcune divergenze – l’Inter era targata Roberto Mancini.
Il ciuffo più ribelle di Jesi era al primo anno sulla panchina nerazzurra e plasmò una squadra cicala. Era un’Inter che cantava e dilapidava punti, affetta da pareggite acuta. Un invito a nozze per la prima Juventus formica di Fabio Capello che ringraziava, incrementava il divario dai rivali e li guardava dall’alto in basso, senza però quella puzza sotto il naso che contraddistingue gli spacconi.
Un lavoro in cui c’era anche lo zampino di Moggi. Il direttore generale bianconero, stando a quanto riportato dal settimanale “Controcampo”, all’epoca dei fatti vicino al calcio che contava, piaceva anche a Moratti. L’Inter e Moggi hanno sempre viaggiato su strade parallele. In principio – come riporta un articolo per Controcampo a firma di Nicola Calathopoulos – fu Tronchetti Provera a spingere per condurre sulla sponda nerazzurra dei Navigli quello che veniva universalmente considerato il migliore nel suo lavoro.
Moratti sembrò convincersi, salvo poi tirarsi indietro quando Moggi – un po’ come Richelieu in Francia ai tempi di Luigi XIII – pretese carta bianca, senza intromissioni da chicchessia nell’area tecnica. Moratti – che amava decidere, assumersi le responsabilità – non volle fare un passo indietro e rinunciò all’ingaggio di Big Luciano.
Nel 2004/05 se ne tornò a parlare. La Juventus guardava al futuro come i francesi guardarono alla Rivoluzione. In casa bianconera, secondo l’amabile penna di Bruno Longhi sempre per Controcampo, ci sarebbero state novità nelle stanze dei bottoni. C’erano Lapo Elkann – nipote tanto caro al compianto Avvocato Agnelli – da inserire nel nuovo consiglio di amministrazione e Fabio Capello da trasformare nel Ferguson italiano.
In attesa di stabilire quali compiti attribuire a Giraudo e Bettega, Moggi sarebbe finito nuovamente nei pensieri dell’Inter. Con lui anche Cesare Prandelli – gradito allo stesso Moggi – principale candidato alla sostituzione di Mancini. Tra pagine scritte, voci sussurrate, amori ai limiti della follia, come divinamente cantava Toto Cutugno, la nuda verità resterà gelosamente custodita nella mente dei protagonisti.
E Calciopoli? Quando Moggi fu vicino all’Inter, Calciopoli non si era ancora materializzata. Sarebbe giunta di lì a poco. Allora la domanda – scomodiamo la nobile anima di Lubrano – nasce spontanea: perché Moratti si sarebbe nuovamente avvicinato – quantomeno col pensiero – a Luciano Moggi? Dopotutto Moggi aveva costruito una Juventus allenata da Fabio Capello, un allenatore mastodontico, Buffon, Zambrotta, Cannavaro, Camoranesi e Del Piero, campioni del mondo, Trezeguet, Vieira e Thuram, sconfitti in finale dall’Italia di Lippi. C’era anche Zlatan Ibrahimovic, che con lo stesso Vieira, avrebbe rappresentato uno dei punti di forza dell’Inter 2006/07. Calciatori che – lo testimonia il loro palmares – avevano le stigmate dei campioni.