Frey il cadetto di Guascogna che non sopporta la gente che non sogna…
Quando Sebastien Frey giunge all’Inter nel 1998 ha lo sguardo spavaldo e fiero e le spalle larghe nonostante la giovane età. Francesco Guccini lo avrebbe probabilmente omologato al suo celebre Cirano perché Frey è sempre stato poco incline al compromesso e al servilismo. Sin dalla giovane età, da quando era solo una promessa su cui Walter Zenga era pronto a scommettere. L’uomo ragno è sicuro: “il ragazzo si farà, vale la pena non farselo scappare”. Mazzola e Suarez non se lo fanno ripetere due volte e convincono Moratti ad acquistarlo insieme a Silvestre e Dabo.
Prima stagione, qualche apparizione. A Milano l’ex portiere del Cannes si rende subito conto dell’importanza della maglia nerazzurra. Studia e cresce all’ombra di Pagliuca e Mazzantini. Sette presenze in campionato, due in Coppa Italia prima della partenza, in prestito, per Verona. All’Inter scocca l’ora della rivoluzione lippiana, e Marcello da Viareggio decide di portare con sé a Milano uomini che non durino appena cinque giornate. Lippi vuole Peruzzi, suo fedelissimo. Frey deve pazientare, meglio un anno in prestito.
La fatal Verona. Quando Frey raggiunge la città veneta si rende subito conto dell’importanza della piazza. Lo scudetto del 1985 è un ricordo lontano ma non sbiadito, l’entusiasmo è quello di sempre.Verona è piazza unica ed affascinate, glielo spiega Shakespeare attraverso i versi di Romeo Montecchi, condannato all’esilio di Mantova dopo l’omicidio di Tebaldo: “Non esiste mondo fuori dalle mura di Verona, ma solo purgatorio, tormento, inferno. Chi è bandito da qui è bandito dal mondo, e l’esilio dal mondo è la morte”. Prandelli valuta attentamente Frey e da bravo Professor Keating coglie l’attimo prima che diventi fuggente. Gli affida la maglia da titolare al posto del veterano Graziano Battistini. Il Verona si toglie parecchie soddisfazioni, compresa quella di annichilire la Juventus a poche giornate dal termine di un campionato dall’ epilogo incredibile. Nono posto che vale a Frey il ritorno a Milano.
Dimmi di riprovare. Lippi è ancora in sella, ci resterà per poco. Peruzzi ha ceduto alle lusinghe della Lazio, troppo seducente il canto delle sirene di casa. Per Moratti nessun problema, c’è il guascone francese più celebre di D’Artagnan rientrato da Verona. La porta è in buone mani. 28 presenze, 38 gol incassati, molti interventi decisivi in una stagione che si rivelerà estremamente complessa sin dallo spareggio di Champions League contro l’Helsingborg. Lippi non c’è più, Tardelli ci prova ma la panchina nerazzurra è troppo grande anche per lui. Lo 0-6 nel derby dell’11 maggio 2001 mette tutti sulla graticola. A fine stagione Moratti compie l’ennesima rivoluzione. Arriva Cuper, l’Hombre Vertical e, soprattutto, arriva Francesco Toldo dalla Fiorentina.
Parma, Firenze e quel derby da rigiocare. Frey comprende che la porta nerazzurra è definitivamente chiusa e se ne va a Parma, città che Maria Luisa d’Asburgo, moglie di Napoleone, aveva reso una piccola Parigi. In Emilia solleverà al cielo l’unico trofeo di una carriera in cui un talento come il suo avrebbe certamente meritato di più. Seguiranno annate meravigliose a Firenze, sempre con Prandelli che, come Andrea del Verrocchio faceva nel Rinascimento con i suoi più talentosi artisti, lo rivuole a bottega. Parate, partite ed un pensiero che lo assillerà fino a quando appenderà i guantoni al chiodo. Siamo convinti che Frey, se solo potesse tornare indietro nel tempo, rigiocherebbe quel maledetto derby. Per cambiare risultato finale e chissà, forse il suo destino in nerazzurro. Quel cadetto di Guascogna ha sempre l’Inter nel cuore. Non dimenticatelo.