Questione di feeling tra l’Inter e Inzaghi. Parole e musica di Mina e Cocciante buone anche per introdurre il rapporto tra la società nerazzurra e il suo allenatore. La fiducia è come un foglio di pergamena. Una volta stropicciato perde la sua naturale linearità. È la base di ogni progetto. Nel calcio non è da meno: se non sussiste quella reciproca tra dirigenza e staff tecnico, giusto valutare eventuali alternative.
Inzaghi, perché si. Riavvolgere il nastro ad inizio stagione è necessario. Quando Inzaghi è arrivato all’Inter gli è stato chiesto di conquistare un posto in Champions League e di vincere la Supercoppa Italiana. Obiettivi centrati. I malumori, casomai qualcuno non se ne fosse accorto, ci sono.
Lieve malcontento. Nasce sicuramente dall’ultimo mese e mezzo di gestione Inzaghi. Nessuno si aspettava un calo della squadra così netto e marcato. I soli sette punti hanno incrinato la fiducia e contribuito a dissipare la serenità che si respirava in gennaio dalle parti del Suning centre. Il derby d’Italia contro la Juventus diventa fondamentale per tanti motivi.
O la va o la spacca. L’augurio è che Inzaghi non emuli il soldato protagonista di Samarcanda, memorabile pezzo del cantautore interista Roberto Vecchioni. Quando vedrà la Vecchia – e bianconera – signora, niente panico. Vincere, anche per i nerazzurri, a questo punto della stagione diventa l’unica cosa che conti davvero. Un segnale di forza e di compattezza, questo chiede la proprietà. Perdere – meglio non pensarci – significherebbe portare le maglie in sartoria per scucire lo scudetto.
Cuper e i fantasmi del passato. Correva l’anno 2002, il mese era quello mariano, giorno in cui Napoleone Bonaparte, molti anni prima, sarebbe passato a miglior vita. In quel nefasto 05 maggio in cui la Lazio di Simone Inzaghi sgretolò i sogni di gloria dell’Inter, la panchina nerazzurra apparteneva ad Hector Cuper. L’Hombre Vertical, che in quella domenica fini Orizzontal come tutta l’Inter, si guadagnò, nonostante il pessimo finale, la riconferma per la stagione successiva. Moratti, a differenza di quanto Abramo fece con Isacco, sacrificò Ronaldo il Fenomeno sul Monte Moriah pur di preservare la fiducia nel suo allenatore.
Quale scelta? Proprio questo il punto cruciale. Se la società ha piena fiducia in Inzaghi – il tecnico meriterebbe ampiamente la conferma, questo il nostro umile pensiero – giusto andare avanti ed accontentarlo in sede di mercato. Qualora ci fosse anche il minimo dubbio e la fiducia nel tecnico si fosse incrinata, meglio separarsi. Ognuno per la propria strada, senza rancore. Si sono separati i Beatles, possono farlo anche l’Inter e Inzaghi. Noi ci auguriamo il contrario perché vorrebbe dire aver conquistato quella seconda stella cometa da apporre sulle maglie. Ieri così vicina, oggi tremendamente lontana. Il bello e il brutto del calcio. Repetita iuvant: questione di feeling, solo di feeling.