Marcello Lippi e l’Inter, storia di un amore mai nato, pensavamo lo fosse, invece era un calesse. A differenza del celebre film di Massimo Troisi, la parentesi nerazzurra del Paul Newman di Viareggio regalò pochi sorrisi e parecchie grane. Quando nell’estate del 1999 Massimo Moratti ufficializzò quello che, da mesi, era noto anche ai sassi delle strade di Torino, in tanti si abbandonarono a scene di giubilo.
L’arrivo in nerazzurro. “È arrivato Lippi – si disse e scrisse – adesso l’Inter volerà”. Tre scudetti, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea, due Supercoppe Italiane ed una Coppa Italia. Bacheca da sogno pronta – almeno nelle intenzioni – per essere arricchita da ulteriori trofei a tinte nerazzurre.
Così diverso dal bianconero. Il Lippi che mise piede ad Appiano Gentile era completamente diverso da quello ammirato alla Juventus. Un general manager all’inglese, allenatore con piena visione anche in ottica mercato. Una visione che mal si integrava con quella di Moratti.
La Juventinità e l’Interismo. Lippi puntava a calciatori che riteneva più congeniali al suo credo tattico. Pagliuca, Bergomi e Simeone furono ceduti in un colpo solo. Una grave perdita per la tifoseria che in loro vedeva l’Interismo più puro. Moratti avvallò quelle partenze ed acquistò Peruzzi, Jugovic, Vieri – con Lippi alla Juventus – Di Biagio, Panucci, Georgatos, Blanc e Domoraud.
Chi ben comincia non è a metà dell’opera. Le cose cominciarono bene – tredici punti nelle prime cinque giornate di campionato – poi la clamorosa sconfitta contro il Venezia ed il passo falso nel derby – con tanto di tirata d’orecchie di Lippi a Ronaldo – spazzarono via sterili illusioni e fragili sogni di gloria.
Gli infortuni, brutta bestia. Gli infortuni di Vieri e del Fenomeno rappresentarono la classica goccia che fece traboccare il vaso. Fu Roberto Baggio a guardare le spalle a chi, a suo dire – si legga Una porta nel cielo, biografia del Divin Codino – gliele aveva voltate. Nello spareggio per l’accesso in Champions League contro il Parma al Bentegodi di Verona, una doppietta di Baggio permise all’Inter di conquistare il quarto posto e a Lippi di preservare la panchina.
Un addio liberatorio. Sarà lo stesso allenatore ad auto esonerarsi alla prima giornata del campionato successivo dopo la sconfitta di Reggio Calabria. La fine di un matrimonio cominciato senza un reale innamoramento, figlio di una infatuazione di mezza estate che avrebbe reso tutti infelici.
Trap e Conte, un’altra storia. Troppo diverse le due filosofie per amalgamarsi. Lippi non riuscirà ad emulare Trapattoni, abile nel trionfare all’ombra della Mole così come in riva ai Navigli. Continuerà a vincere alla Juventus e in Nazionale. Lippi è sempre stato un grandissimo allenatore, le responsabilità del flop nerazzurro non furono certamente solo sue. Anche la società contribuì, con alcune decisioni discutibili, ad alimentare caos. Chi emulerà il Trap qualche anno dopo, sarà Antonio Conte, altro ex juventino. Ma questa è un’altra storia. Marcello Lippi e l’Inter, storia di un amore mai nato ma non date tutte le colpe al mister viareggino.